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Posts Tagged ‘videogames’

Chi mi conosce sa che MEME è una parola che amo particolarmente, dato che coniuga due mie grandi passioni: cultura e creatività.

Meme definisce infatti l’unità minima di un contagio culturale. E’ insomma il livello culturale di quel comportamento umano che si esprime come viral marketing in ambito pubblicitario.

Anche un videogame può generare un meme. Ad esempio, Mortal Kombat (avevo ancora i capelli quando ci giocavo…) e il “get over here” di Scorpion:

Viene ripreso, ovviamente, anche nella versione cinematografica del gioco:

Infine, per chi negli anni ’80 non si esponeva ai raggi delle lampasso ma, come me, a quelli dei monitor dei videogame, ecco una gallery di “10 Video Game Meme“.

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Integro quanto scritto nel post precedente, con una considerazione a posteriori.

Biophilia è un’opera totale in un senso ancora più interessante, perchè nel suo essere opera d’arte totale, include come elemento artistico anche un nuovo business model musicale: un modello di distribuzione dei brani musicali che non passa solo per i negozi, o per itunes, ma ora, per la prima volta, anche per appstore. Come ho già scritto qui, appstore si è candidato da subito a essere il nuovo medium che non ha la pretesa di essere tale, nel senso tradizionale a cui siamo abituati, ma che di fatto lo è: un medium che non vuole solo spettatori, ma che chiama in causa il cliente finale, e lo fa giocare – letteralmente – con le marche e con i messaggi che veicola. Quindi anche con un album musicale: che, diventando app, costituisce ora un modello di business musicale di acquisto in app dei singoli brani.

Dopo riviste e videogiochi, ora anche gli album diventano un modello di business mobile.

Attenzione, non sono solo espressioni di un nuovo modello di business: sono loro stessi nuovi modelli di business, ciascuno di loro. Con dei tratti in comune, ovvero l’in app purchase, ma anche con delle potenzialità assolutamente peculiari, legate al contenuto dell’app stessa. Se qui si parla di musica, allora il modello di business si svilupperà a partire dal contenuto musicale. Ad esempio, il brano Crystalline (di cui vedete sopra il videoclip girato da Michel Gondry) è anche un videogame, di cui la musica è parte integrante, come colonna sonora dinamica. La musica sarà il prossimo modello di business per i videogames? Assisteremo a un mash-up geek di modelli di business creativi?

Non vedo l’ora.

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oggi ho fatto WOW vedendo il trailer di Brink fatto dalla AKQA. Decisamente son cambiati i tempi e le tecnologie, ma le emozioni restano le stesse. 😉

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La nuova versione della GTI viene promossa attraverso un approccio estremamente geek: piazzarla all’interno di un (classico) videogioco di corse di macchine per l’iPhone… ma dando un vantaggio agli utenti: rendendo gratuito questo gioco (firemint Real Racing) altrimenti a pagamento – e si può viincere anche una di queste auto in versione “limited”.

L’idea è nata da una analisi del target di questo veicolo, estremamente affine all’iPhone (e all’iPod Touch, tanto per essere precisi) e dal desiderio di non limitare l’interazione marca-consumatore ai pochi secondi di uno spot o di una pagina pubblicitaria ma di farla durare almeno qualche minuto… un sogno per i pubblicitari fino a qualche anno fa.

Taglio corto, scusate, vado a vedere se questa volta riesco a finire il gioco senza schiantarmi contro il solito muro… 😦

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E’ la seconda volta che la NASA mette assieme due mie passioni.

Nel 1981 commissionarono ai Rush, una delle mie band preferite e una delle band più geek di sempre, una canzone per celebrare il lancio dello Shuttle Columbia: era Countdown, che i tre di Toronto suonarono live alla NASA durante il lancio.

E, ora, l’ente spaziale americano collabora con Apple per la realizzazione di alcuni giochi che festeggiano il l’anniversario dello sbarco sulla luna.

Non sto a descrivervi i giochi in dettaglio. Se vi interessa, la trovate su Macity.  Quello che interessa a noi, invece, è che la Nasa, per farsi pubblicità e dare risonanza all’anniversario, non usi solo TV radio e stampa, ma anche il più interattivo dei nuovi media: l’App Store di Apple. Ne abbiamo già parlato. E ci fa piacere che la NASA condivida la nostra visione. In fondo, se non si fa pubblicità geek lei, chi altro dovrebbe?

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Ero giusto adolescente quando è esplosa la mania delle lampade. Quanti sabati trascorsi davanti alla luce UV che abbrustoliva il primo stato dell’epidermide e dava un colore da muratore cotto dal sole che piaceva tanto alle ragazze paninare.  Quanti sabati, sì. Non i miei. Io li trascorrevo davanti ad altre luci, non UV,  che abbrustolivano direttamente il primo stato di tessuto sinaptico. Le luci multicolori dei videogiochi del bar. Quelle luci che mi conferivano un pallore che faceva tanto poeta decadente che piaceva solo alle ragazze che non piacevano a me.  Ero un nerd. (Ero pure metallaro, ma questa è un’altra storia…). E lo sono tuttora. Con la differenza che, per una felicissima alchimia lessicale, oggi non si dice più nerd: si dice geek. Ed è tutta un’altra storia. Siamo i proseliti delle migliori menti del secolo. Steve Jobs è uno di noi. Abbiamo stile. Ne abbiamo talmente tanto, che la moda attinge dai nostri eroi: come per la recente collezione dedicata a Supermario e agli eroi dei videogiochi storici Nintendo. Arcade? No, vintage.

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Lo sappiamo, tempi duri per vendere CD.

Per fare revenue con la musica bisogna inventarsi modelli di business differenti, probabilmente.

Un’idea l’hanno avuta i Coldplay – usare la musica come leva per far vendere un videogioco (e fare royalties, immagino).

Il gioco in questione è (posso dire, “ovviamente”?) un gioco per l’iPhone ed è una nuova release di una applicazione piuttosto popolare – Tap Tap Revenge, che viene revampata anche grazie all’aiuto di una nuova colonna sonora e ribrandizzata “Coldplay Edition” (3,99 € su iTunes).

Non solo si fa vendite di giochi e quindi soldi per gli autori della colonna sonora, ma si fa anche branding per la band attraverso il gioco – i cui utenti non sono necessariamente (ancora) fan della band e quindi si meticciano ed incrociano i due target 😉

Il gioco contiene 10 canzoni dei Coldplay (quindi in realtà è un album travestito da videogame?) ma anche un news feed dedicato alla band etc. Si mostra dunque che il potenziale di usi innovativi/creativi dei videogiochi come strumenti di comunicazione (geek) è ancora lontano dall’essere esaurito… (vedremo un giorno Metal Gear Solid: Giusy Ferreri Edition?)

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Pochi giorni fa stavo “fishing for insights” nel mondo dei videogames, e mi sono imbattuto in un vecchio video del TED, con David Perry che dissertava sul tema “Will videogames become better than life?”.

Guardatevelo anche voi qui sopra, soprattutto la parte con il video di tesi del suo studente. Al di là che è ricchissimo di insights, per quanto da anni già abusatissimi in pubblicità, soprattutto da Playstation, la cosa mi ha fatto riflettere.

Da un lato, sul fatto che creatività e cultura non sono poi così divergenti (argomento di cui ogni tanto qualche folle mi invita a parlare, come allo scorso sci(bzaar)net). Se i creativi che hanno studiato ad esempio lo spot Playstation “Double life” hanno anticipato gli stessi temi trattati e incensati in prestigiose università e al TED, allora è una ulteriore conferma dell’argomento di cui sopra: nonostante le sue applicazioni siano molteplici e a volte divergenti, l’intelligenza è una. 

E dall’altro, mi ha fatto riflettere su come si stanno trasformando i nostri “target”. Vedete, io ho sempre detestato anglicismi da marketing come questi (che infatti metto sempre tra virgolette): macchè target e target, gli interlocutori di un creativo sono le persone! Esseri umani, dotati di emozioni, intelletto; persone con una propria storia che è sempre in evoluzione. Non sono bersagli da “colpire”. Con loro, piuttosto, un creativo geek deve giocare. Bisogna riconoscervisi: siamo uguali, siamo tutti attori dello stesso processo di comunicazione evoluta.     

Ebbene, vedendo il video di quello studente, ho riflettuto su quanto geek stia diventando il nostro apparato cognitivo.

Mi spiego: siamo talmente estensione delle interfacce che usiamo, a tutti i livelli – siano esse elettrodomestici, telefonini, palmari, computer, o videogames – che queste interfacce sono un nuovo organo cognitivo con cui vediamo la realtà, che di rimando ci appare, in questo caso, come un videogame.

Se la realtà è la percezione che noi ne abbiamo, allora i videogames sono il feedback che noi riceviamo di noi stessi. In altre parole, per un apparato cognitivo assuefatto ai videogame, il vissuto nel mondo fisico e il vissuto nel mondo virtuale sono allo stesso modo reali. 

Realtà e percezione della stessa. Sembra filosofia da Videodrome o da Ghost in the Shell, ma non siamo poi così lontani dalla pubblicità, dal momento che questa lavora proprio sulla percezione della marca, della merce.

Ecco la conclusione della riflessione: si sta affacciando sul mercato una generazione di individui la cui percezione del mondo, il cui stare al mondo è geek nell’essenza, nel DNA. Bene. La Geek Advertising li aspetta al varco.

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Ho il fondato sospetto che il futuro, sia della tecnologia che della comunicazione, ci riservi parecchie sorprese sul fonte dell’interazione dell’uomo con il mezzo; nel senso che comunicheremo a gestacci con device e con la pubblicità (cosa che peraltro già spesso facciamo con gli spot TV): comunicazione non verbale sì, ma anche non tecnologica, almeno dal lato dell’utente e per questo ad alta tecnologia.

Fatto il pistolotto iniziale che sembra che dica cose intelligenti, provo a farmi capire.

Assunto 1: i videogiochi sono il mercato probabilmente più interessante del mondo, in termini di fatturati. La vendita di videogiochi è stimata nel mondo 32 miliardi di dollari (2008) – sorpassando significativamente il valore del mercato delle vendite dei DVD, complici un po’ la pirateria e un po’ l’arrivo dei Blu-Ray (dati GfK International).

I videogiochi hanno dunque rappresentato un 53% del valore del mercato di “home entertainment” (ma in Italia e in Spagna siamo già al 67%) e nel 2009 potrebbero salire a sfiorare il 57-58%.

Questo implica un forte interesse a fare, interagire (confermato dal successo di Internet, altro strumento di azione / interazione).


Assunto 2: Il leader dei videogiochi è la Nintendo Wii, che da sola ha fatto salire del 20% il valore del mercato dei videogiochi.

Ed è un successo interessante – tutto motivato dall’interfaccia, la più semplice possibile: il nostro corpo. Fare le cose come siamo abituati a fare senza dover imparare meccanismi, linguaggi di comunicazione diversi, banalmente imparare quale tasto va schiacciato quando.

Il tema delle interfacce “naturali” in realtà data da un passato abastanza remoto. I lavori di Vincent John Vincent , recentemente ospite in Italia di “Meet the Media Guru” sono stati pionieristici, con installazioni – (necessariamente complesse, all’epoca) con cui si interagiva solo col movimento del corpo e successivamente con lo sviluppo commerciale di una serie di tecnologie e applicazioni di Gesture Recognition.

Oggi, la tecnologia è cambiata, al punto che con semplici softwarini gratuiti si può usare una pera, una banana o uno spazzolino da denti per giocare con il proprio computer (purchè dotato di una webcam…  il software lo scaricate qui e il video che trovate sul sito camspace.com vi fa capire il potenziale).

Un prodotto come Surface di Microsoft, un tavolo interattivo su cui si opera semplicemente muovendo le mani, è un grosso passo verso la diffusione di questo tipo di applicazioni: ho avuto la fortuna di provarlo e sono sicuro che le opportunità di comunicazione innovativa – a cominciare da materiali e installazioni Punto Vendita – sono notevoli.

Un approccio all’interazione che, tra l’altro, si sta facendo strada persino all’interno del più comunicativo tra gli elettrodomestici (la TV), come si può vedere dal filmato della Televisione comandata da applausi e gesti.  

In tutto questo esiste dunque uno scenario di opportunità – dove le persone che oggi fruiscono più o meno passivamente del nostro sito internet potranno domani interagirci attivamente, attraverso movimenti delle mani o del corpo – e l’interazione, lo sappiamo, significa engagement. Significa attenzione data alla marca, memorizzazione, significa quella comunicazione innovativa che le aziende stanno con forza chiedendo ai loro consulenti.

Certo, non si esaurirà tutto qui, e sono mille le altre proposte di Geek Advertising che dovremo sfornare… ma questo mi sembra un bel campo da cui iniziare. Se mi vedete agitare davanti al computer non preoccupatevi: sto solo testando un’interfaccia (se però urlo anche… vuol dire che sto mandando a quel paese via Skype quel rompiballe del mio amico Arturo…)

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